Letizia Picone vince in Cassazione
Pubblicato il: 5/28/2020
Rai Radiotelevisione Italiana S.p.A è stata rappresentata nel contenzioso dall'avvocato Mattia Persiani mentre Letizia Picone è stata affiancata dall'avvocato Sara D'Onofrio.
con sentenza n. 7717/10, pubblicata il primo dicembre 2010, la CORTE d'APPELLO di ROMA, in accoglimento del gravame interposto dalla sig.ra Letizia PICONE avverso la pronuncia del Tribunale di Roma n. 7264/2006, 1) dichiarava la nullità del termine apposto al contratto stipulato dalla Picone con la RAI-RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.p.a., con decorrenza dal 17 dicembre 1995, e la conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dalla stessa data, con inquadramento della lavoratrice nella qualifica di programmista regista di terzo livello; 2) condannava la RAI al pagamento, in favore della Picone, a titolo risarcitorio, delle relative retribuzioni che sarebbero maturate dal 27 gennaio 2004 al 27 giugno 2006, oltre agli accessori di legge. La Corte capitolina, tra l'altro, precisava che i primi quattro contratti a termine erano stati stipulati ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. c), come novellata dalla L. 23 maggio 1977, n. 266. Riteneva la nullità del termine apposto al primo contratto stipulato tra le parti, con conseguente sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dal 17 febbraio 1995 e ancora in essere. Essendo il rapporto cessato di fatto alla scadenza del nono contratto a termine, il 27 giugno 2003, alla lavoratrice andavano riconosciute, a titolo risarcitorio, le retribuzioni maturate nei tre anni successivi alla costituzione in mora della società (27 gennaio 2004), essendo questo un lasso di tempo da ritenere sufficiente per il reperimento di altra occupazione da parte dell'interessata. La società quindi, aveva impugnato la sentenza d'appello con ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui aveva resistito con controricorso la PICONE. Con il primo motivo era stata denunciata, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. e), come novellata dalla L. 25 maggio 1977, n. 260. Con il secondo motivo era stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1223 cod. civ., in relazione con la L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. e), come novellata dalla L. 25 maggio 1977, n. 260 e con la L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 7. Era stata chiesta la cassazione della sentenza impugnata, anche in caso di rigetto del primo motivo, per la mancata applicazione, in ordine alle conseguenze risarcitorie, della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi da 5 a 7. Il primo motivo di ricorso veniva rigettato, mentre veniva accolta la seconda censura, rilevando, conformemente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, nella specie l'applicazione dello jus superveniens di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, sussistendone l'interesse della RAI e trattandosi di disciplina, applicabile a tutti i giudizi pendenti, anche in grado di legittimità. La norma di cui al comma 5, che "non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato", in base ad una "interpretazione costituzionalmente orientata" andava intesa nel senso che "il danno forfetizzato dall'indennità in esame copre soltanto il periodo cosiddetto intermedio, quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto", con la conseguenza che a partire da tale sentenza "è da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva" (altrimenti risultando "completamente svuotata" la "tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato"). Allo stesso tempo, sempre alla luce della citata pronuncia della Corte costituzionale, "il nuovo regime risarcitorio non ammette la detrazione dell'aliunde perceptum. Sicché l'indennità onnicomprensiva assume una chiara valenza sanzionatoria. Essa è dovuta in ogni caso, al limite anche in mancanza di danno, per avere il lavoratore prontamente reperito un'altra occupazione". Così interpretata, la nuova normativa, risultata "nell'insieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi", aveva superato il giudizio di costituzionalità sotto i vari profili sollevati, con riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102 e 111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1. Del resto, in tale senso era stata intesa la disposizione di cui alla L. n. 183 del 2010, citato art. 32, comma 5 dalla norma d'interpretazione autentica di cui alla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 13. Pertanto, con sentenza n. 16348/15 in data 1/4 - 04/08/2015, l'impugnata pronuncia veniva cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, la quale, attenendosi ai principi sopra richiamati, avrebbe dovuto, quindi, provvedere anche ai sensi di quanto disposto dal citato art. 32, comma 7, statuendo altresì sulle spese del giudizio di cassazione
Il giudizio, di conseguenza, veniva riassunto dalla RAI, per cui la Corte d'Appello di Roma con sentenza n. 5122 in data 27 ottobre - due dicembre 2016, decidendo in sede di rinvio sulla già dichiarata nullità dei termini apposti ai contratti de quibus, ancora in corso, condannava la RAI S.p.a. a corrispondere alla PICONE un'indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto (€2367,06), maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi dalla precedente decisione d'appello al saldo. Inoltre, la Picone veniva condannata a restituire alla RAI la differenza tra quanto percepito in esecuzione della succitata pronuncia n. 7717/2010 ed in atti documentato, al netto delle ritenute fiscali, e quanto riconosciuto con la sentenza emessa in sede di rinvio, oltre interessi dalla data del primo pagamento al saldo. Condannava, infine, la società RAI al rimborso, in favore della PICONE, delle spese processuali all'uopo liquidate anche per il giudizio di legittimità.
Per la cassazione della sentenza n. 5122/16 ha proposto ricorso la RAI - RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.p.a., come da atto di cui è stata chiesta la notifica il 31 maggio 2017 ed affidato a due motivi, cui ha resistito la sig.ra Letizia PICONE mediante controricorso notificato a mezzo p.e.c. il sette luglio 2017.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
La Corte RIGETTA il ricorso. CONDANNA la società ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in €.200,00# per esborsi ed in €.6000,00# per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con attribuzione all'avv. Sara D'Onofrio, procuratrice antistataria costituita per la controricorrente.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.