Sea Work Service vince in Cassazione contro il ricorso presentato da Marando Bruno
Pubblicato il: 1/26/2021
Marando Bruno è stato rappresentato dall'Avv.to Sabina Pizzuto. Sea Work Service è stata rappresentata dagli Avv.ti Caterina Albano e Manuela Carla Buffon
Con lettera del 25.9.2014 la Sea Work Service srl intimava licenziamento per giustificato motivo oggettivo a Marando Bruno, suo dipendente dal 4.3.2008 con qualifica di operaio portuale (addetto al rizzaggio e derizzaggio) di IV livello. A seguito di impugnazione del ricorso, da parte del lavoratore, fondata sulla insussistenza del giustificato motivo oggettivo, sulla mancata indicazione dei motivi di licenziamento e sulla violazione dei principi di correttezza e buona fede nella scelta dei dipendenti da licenziare, il giudice del lavoro di Palmi, con ordinanza depositata in data 10.8.2015, al termine della fase sommaria, rigettava la domanda del Marando. Lo stesso giudice, con la pronuncia n. 1043 del 2017 emessa nella fase di opposizione, confermava parzialmente la ordinanza in ordine alla insussistenza di un giustificato motivo oggettivo, ma riteneva violati i canoni di correttezza e buona fede nella scelta del Marando come lavoratore da licenziare perché, appartenente al 4° livello, era stato selezionato in modo arbitrario insieme a tre altri operai di 6° livello, in quanto considerato unità più costosa e in esubero. Sui reclami proposti la Corte di appello di Reggio Calabria, con la sentenza n. 469 del 2018, confermava la decisione di prime cure sottolineando in sintesi che: il giustificato motivo addotto non era manifestamente insussistente perché la società aveva subito perdite negli anni 2012, 2013 e 2014 che giustificavano il numero dei licenziamenti intimati; le prove testimoniali raccolte, su richiesta della difesa del lavoratore, avevano dimostrato la vaghezza ed arbitrarietà dei criteri utilizzati per la scelta di licenziare il Marando; congrua appariva la misura della indennità risarcitoria fissata in venti mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.250,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie della misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge