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La Corte di Cassazione rigetta il ricorso di Marina Di Riposto Porto Dell'Etna.


Pubblicato il: 11/26/2022

Marina Di Riposto Porto Dell'Etna è stata rappresentata nel contenzioso dall'avvocato Andronico Francesco mentre Previti Cristian è stato difeso dall'avvocato Di Marzo Filippa.

La Corte d'Appello di Catania, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012 e in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato in data 22 aprile 2014 a Cristian Previti all’esito di una procedura collettiva e ha condannato la società datrice di lavoro Marina di Riposto Porto dell’Etna Spa alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, oltre che al risarcimento del danno in misura pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con accessori e spese. 

La Corte ha premesso che “nell'accordo raggiunto nel corso della procedura tra il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali è stato previsto, quanto al criterio delle esigenze tecnico produttive, che ‘ilavoratori saranno valutati dai responsabili delle aree operative tenendo

conto della preparazione professionale e delle prestazioni quali- quantitative tali da consentire il mantenimento in servizio di lavoratori in possesso delle professionalità necessarie per la efficiente prosecuzione dell'attività aziendale’, con attribuzione di un punteggio a seconda del giudizio attribuito ad ogni dipendente (mediocre punti 250, sufficiente punti 500, buono punti 750, ottimo punti 1000)”; ha rammentato che la società aveva poi affermato che, nel procedere alla valutazione di ogni dipendente, si era tenuto conto di sette fattori. Constatato che il reclamante aveva avuto un giudizio di “mediocre” e, quindi, 250 punti, rispetto ad altri dipendenti non licenziati che avevano avuto un giudizio e un punteggio migliore, ha accertato come determinante, ai fini della individuazione del Previti quale dipendente da licenziare, il punteggio attribuito in relazione al criterio delle esigenze tecnico produttive ed organizzative. Richiamata, quindi, la pronuncia della Suprema Corte n. 7490 del 2015, la Corte territoriale ha ritenuto che, sebbene nel caso in esame apparentemente la graduatoria fosse rigida e oggettiva perché basata sull’attribuzione di punteggi, tuttavia, quanto al criterio delle esigenze tecnico produttive ed organizzative, “l'espressione di un giudizio, cui poi viene associato un punteggio, evidenzia l'esercizio di un ampio margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro”; ha sostenuto, pertanto, che “il criterio adottato non è oggettivamente verificabile e controllabile e, quindi, lascia spazio ad una scelta arbitraria dei dipendenti da licenziare, venendo meno così alla funzione dei criteri di scelta che è quella di sottrarre l'individuazione dei lavoratori da licenziare a qualsiasi margine di discrezionalità”. Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso la società soccombente, affidando l'impugnazione a due motivi, cui ha resistito l’intimato con controricorso. La ricorrente ha anche depositato memoria.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese forfettario al 15%.