Il TAR Lazio si esprime sulla validità dei titoli di ablitazione conseguiti all'estero
Pubblicato il: 1/18/2023
Nel procedimento innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio la ricorrente è stata assistita con successo dallo studio legale Bonetti & Delia.
Con sentenze del 28 e 29 dicembre 2022 l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata sulla validità dei titoli di ablitazione e specializzazione sul sostegno.
Il Ministero aveva negato il riconoscimento di tali titoli sostenendo, in particolare, che se gli aspiranti insegnanti italiani che hanno ottenuto tali abilitazioni all'estero non possono insegnare nel Paese che ha rilasciato questi certificati non possono pretendere di farlo, a maggior ragione, neanche in Italia.
L'ordinanza di rimessione aveva, in tal senso, valorizzato la posizione del Ministero dubitando che il sistema comunitario di mutuo riconoscimento dei titoli potesse spingersi a tal punto da consentire allo Stato ricevente di superare le mancanze che lo stesso Stato rilasciante (in questo caso Bulgaria e Romania) avessero affermato negando la possibilità di insegnare nel proprio Paese.
L'Adunanza Plenaria, tuttavia, aderendo alla tesi da sempre sostenuta dallo studio Bonetti & Delia, ha chiarito che "la verifica dell’autorità del Paese ospitante ai fini del riconoscimento tende ad assumere i connotati dell’automatismo, coerenti con le esigenze di certezza del quadro regolatorio uniforme a livello nazionale e agli obiettivi di circolazione dei lavoratori e dei servizi perseguiti attraverso la direttiva. Nella medesima ottica di favore non può dunque ritenersi esclusa, ma anzi deve ritenersi necessaria, una verifica in concreto delle competenze professionali comunque acquisite nel Paese d’origine dal richiedente il riconoscimento e della loro idoneità all’accesso alla ‘professione regolamentata’ in quello di destinazione.
In altri termini, il riconoscimento tipizzato dalla direttiva 2005/36/CE, normativamente predeterminato nel senso di una presa atto del titolo professionale, dell’attestazione di competenza, o dell’esperienza professionale acquisita dall’interessato, si colloca comunque in un sistema che, in vista dell’obiettivo di attuazione delle libertà economiche fondamentali dei Trattati europei, si propone di «facilitare il riconoscimento reciproco dei diplomi, dei certificati ed altri titoli stabilendo regole e criteri comuni che comportino, nei limiti del possibile, il riconoscimento automatico di detti diplomi, certificati ed altri titoli», come enunciato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con specifico riguardo al regime di riconoscimento automatico, ma con valenza espansiva anche per il regime generale di riconoscimento, demandato ad una fase amministrativa di verifica dei percorsi di formazione e acquisizione delle necessarie competenze professionali seguiti dall’interessato in ciascun Paese dell’Unione.
Nella prospettiva finora delineata, la mancanza dei documenti necessari ai sensi del più volte art. 13 della direttiva 2005/36/CE non può pertanto essere automaticamente considerata ostativa al riconoscimento della qualifica professionale acquisita in uno Stato membro dell’Unione europea, dovendosi verificare in concreto il livello di competenza professionale acquisito dall’interessato, valutandolo per accertare se corrisponda o sia comparabile con la qualificazione richiesta nello Stato di destinazione per l’accesso alla ‘professione regolamenta".
Più complessa la vicenda dei titoli rumeni.
In tali casi la Plenaria ha, con una ampia ricostruzione documentale, smentito la circostanza sostenuta dal Ministero che, sulla base dei titoli rilasciati in Romania, gli insegnanti italiani non potessero lavorare proprio in Romania in ragione dei titoli accademici italiani non direttamente spendibili in quella sede.
Con i nostri documenti e le nostre memorie avevamo provato a dimostrare che, invero, tale ricostruzione è solo del Ministero italiano in quanto i successivi chiarimenti delle Autorità rumene avevano superato tali impedimenti.
I Giudici di Palazzo Spada hanno confermato tale ricostruzione. "Osserva l’Adunanza Plenaria che questa osservazione della Commissione non va intesa nel senso che al certificato rilasciato dal Ministero rumeno – c.d. Adeverinta – non vada riconosciuta alcuna equipollenza in Italia. Infatti, come ha sottolineato la nota della Commissione europea del 29 marzo 2019, non è necessaria l’identità tra i titoli confrontati, essendo sufficiente una mera equivalenza per far scaturire il dovere di riconoscere il titolo conseguito all’estero: il certificato va considerato non automaticamente, ma secondo il sistema generale di riconoscimento e confrontando le qualifiche professionali attestate da altri Stati membri con quelle richieste dalla normativa italiana e disponendo, se del caso, le misure compensative in applicazione dell’art. 14 della Direttiva 2005/36/CE. Anche ai cittadini italiani o dell’Unione, che abbiano superato tutte queste fasi (e, in particolare, il tirocinio pratico) e l’esame nazionale, è comunque consentito insegnare in Romania. In considerazione delle sopra richiamate note del Ministero rumeno, non risulta condivisibile l’osservazione della Sezione remittente, per la quale sarebbe «pacifico che l’appellato non abbia il diritto all’abilitazione in Romania e che non possa ivi accedere alla professione di insegnante, secondo la legge ivi vigente, perché non ha ottenuto la laurea in quel Paese». Al contrario, la certificazione rilasciata dall’Autorità rumena all’appellato va qualificata come attestato di competenza, rilevante per l’ordinamento italiano così come è rilevante in quello rumeno.
D’altra parte, tale certificazione va qualificata come ‘titolo assimilato’ ai sensi dell’art. 12 della Direttiva 2005/36/CE, per il quale «è assimilato a un titolo di formazione di cui all’articolo 11, anche per quanto riguarda il livello, ogni titolo di formazione o insieme di titoli di formazione rilasciato da un’autorità competente di uno Stato membro che sancisce il completamento con successo di una formazione acquisita nell’Unione, a tempo pieno o parziale, nell’ambito o al di fuori di programmi formali, che è riconosciuta da tale Stato membro come di livello equivalente, e che conferisce al titolare gli stessi diritti di accesso o di esercizio a una professione o prepara al relativo esercizio» ed «è altresì assimilata ad un titolo di formazione, alle stesse condizioni del primo comma, ogni qualifica professionale che, pur non rispondendo ai requisiti delle norme legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro d'origine per l'accesso a una professione o il suo esercizio, conferisce al suo titolare diritti acquisiti in virtù di tali disposizioni».
Non si verifica pertanto l’incongruenza paventata dall’ordinanza di rimessione, secondo cui la conferma della sentenza appellata comporterebbe il riconoscimento in Italia di un titolo di formazione romeno, che in Romania avrebbe un rilievo inferiore ai fini dell’insegnamento".
Cosa succederà, quindi, a tutte le istanze sin'ora non esitate dal Ministero?
La risposta è già arrivata dal T.A.R. Lazio che, con decine di sentenze del 29 dicembre 2022, già il giorno successivo alla Plenaria, in accoglimento dei ricorsi dello studio legale Bonetti & Delia, con gli avvocati Michele Bonetti e Santi Delia, ha condannato il Ministero a valutare i titoli ritenendo illegittimo il silenzio o comunque il diniego frapposto e condannandolo anche 1000 euro di spese per ogni candidato e commissariandolo in caso di ulteriore inerzia oltre i 30 giorni.
L'Amministrazione, scrive il T.A.R. Lazio, "è tenuta ad accertare- con valutazione non sostituibile da parte di questo Giudice nel presente giudizio ex art. 117 c.p.a.- la validità del percorso formativo individuale della parte richiedente, come attestato dal titolo estero prodotto in sede procedimentale, per verificare se sussistono le condizioni per accogliere la relativa istanza di riconoscimento".