Rigettato il ricorso delle Figlie della Croce di S. Andrea
Pubblicato il: 12/14/2022
Nel contenzioso, Figlie della Croce di S. Andrea è rappresentata dall'avvocato Massimo Merlini; Roma Capitale è affiancata dall'avvocato Domenico Rossi.
La Congregazione ha impugnato l'avviso di accertamento relativo a ICI dell'anno 2009, opponendo di avere diritto alla esenzione prevista dall'art. 7 comma primo lett. i) del D.lgs. n. 504 del 1992.
Il ricorso è stato respinto in primo grado.
La Congregazione ha proposto appello, che la Commissione tributaria regionale del Lazio ha respinto sul rilievo che non vi è prova della sussistenza dei requisiti per usufruire dell’esenzione; che le attività didattica e l'attività ricettiva esercitate negli immobili producono introiti, in quanto svolte dietro un corrispettivo totalmente a carico della utenza che ne fruisce; che l’ente ha conseguito nell’anno 2009 un volume d'affari pari a euro 256.101,00; che, non può dirsi pertanto che è l'attività sia svolta con modalità non commerciali, in quanto, a tal fine, non è rilevante la presenza di perdite in bilancio, quanto piuttosto l’obbligo di versare un corrispettivo da parte dell’utenza e l'idoneità tendenziale dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio.
Il giudice d'appello osserva altresì che gli immobili di cui si discute sono accatastati in categoria B5 (scuole) e B1 (ospizi) e non sono destinate allo svolgimento esclusivo dell'attività di culto; infine, per quanto riguarda l'immobile asseritamente destinato ad alloggio delle religiose, si osserva che il cespite fa parte del complesso immobiliare “villa Maria Laura”, casa di riposo non convenzionata cui non si può riconoscere l'esenzione.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso la Congregazione svolgendo quattro motivi. Si è costituita con controricorso Roma Capitale. Il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso. La causa è stata trattata alla udienza pubblica del 15 novembre 2022, in camera di consiglio, in base alla disciplina (successivamente prorogata) dettata dal sopravvenuto art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza fisica del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
La Cassazione rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.500,00 per compensi oltre euro 200,00 per spese non documentabili, spese forfetarie ed accessori come per legge.