Accolto il ricorso di Acqualagna Tartufi in materia di accertamento di operazioni fittizie
Pubblicato il: 6/5/2023
Nel procedimento, Acqualagna Tartufi S.r.l. è affiancata dall'avvocato Francesco Mancini.
A conclusione di una verifica generale condotta da militari della GdF e del relativo processo verbale di constatazione redatto l’8 agosto 2015, l’Agenzia delle entrate notificò alla Acqualagna Tartufi s.r.l. l’avviso d’accertamento con cui era rideterminato l’imponibile iva dell’anno 2013, con conseguente recupero ad imposta dell’importo di € 121.860,55. Furono conseguentemente comminate le relative sanzioni. L’ufficio aveva ritenuto che la società, esercente attività di commercializzazione (previa lavorazione e conservazione) di frutta e ortaggi, e più nello specifico di tartufi, avesse partecipato ad una cd. “frode carosello”, emettendo fatture d’acquisto del prodotto dalle società cartiera “FIMA s.r.l.” e “Funghi e Tartufi s.a.s.”, in realtà acquistate direttamente da altri soggetti, i cd. cavatori, nell’intento di fruire di vantaggi fiscali (sottrarsi alla applicazione dell’art. 1, comma 109 della l. 30 dicembre 2004, n. 311 -legge finanziaria 2005-, che imponeva l’obbligo di autofatturazione per l’acquisto di tartufi da raccoglitori dilettanti privi di partita iva -cavatori-, con obbligo di versamento dell’iva autofatturata senza diritto alla detrazione).
Instaurato il contenzioso dalla società, la Commissione tributaria provinciale di Pesaro, con sentenza n. 430/02/2017, rigettò il ricorso. La Commissione tributaria regionale delle Marche, adita dalla contribuente, rigettò l’appello con sentenza n. 288/03/2020, ora impugnata.
Il giudice regionale ha ritenuto che le emergenze documentali provavano l’esecuzione di operazioni soggettivamente inesistenti (nella prospettiva secondo cui le società cartiera si sarebbero solo fittiziamente interposte tra i cavatori e la contribuente, perché risultasse l’acquisto del tubero da società con partita iva, così da aggirare la disciplina introdotta dalla legge finanziaria del 2005, che per il commercio del tartufo imponeva l’inversione contabile con autofatturazione e senza diritto alla detrazione dell’iva). In particolare ha ritenuto che l’Amministrazione finanziaria aveva provato la fittizietà delle operazioni fatturate, gravando sul contribuente la prova contraria, a giustificazione della detrazione iva. Ha ritenuto che il quadro indiziario illustrato dall’ufficio evidenziasse elementi tutti noti alla società, che di contro aveva contrapposto solo considerazioni puramente teoriche, negando la estraneità alla frode carosello e la colpevole inconsapevolezza della stessa.
Il giudice regionale ha inoltre ritenuto irrilevante come fosse del tutto assente la prova dell’approvvigionamento del tartufo dai cavatori e del pagamento in nero di questi, ritenendo anche irrilevante «l’assenza di indagini sull’elemento psicologico in capo ad essa [contribuente] quale acquirente da società ritenute cartiere, data la rilevanza prevalente nel processo tributario del profilo sostanziale delle questioni dedotte».
La società ha censurato con due motivi la sentenza, della quale ha invocato la cassazione, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia il processo alla Corte di giustizia tributaria di II grado delle Marche, cui demanda in diversa composizione anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.