TIM vince il contenzioso relativo al pagamento del canone concessorio per i servizi di telecomunicazione
Pubblicato il: 4/8/2024
Nella vertenza, Tim è stata assistita da Cleary Gottlieb, con il senior counsel Mario Siragusa, nonché dai professori Romano Vaccarella e Stefano D’Ercole.
Nella complessa vicenda relativa al pagamento del canone concessorio per l’esercizio dei servizi di telecomunicazione fissa e mobile per l’anno 1998, il 13 marzo 2024 la Corte d’Appello di Roma – I Sezione civile ha riconosciuto le ragioni delle pretese risarcitorie di Tim nei confronti dello Stato italiano.
In particolare, la Corte ha accolto il ricorso di Tim avverso la sentenza n. 6174/2015 del Tribunale di Roma, che aveva dichiarato inammissibile per difetto di competenza territoriale la precedente azione di Tim volta ad ottenere il ristoro dei danni derivanti dalla pronuncia n. 7506/2009 del Consiglio di Stato.
La questione della competenza territoriale è stata ora risolta alla luce di un orientamento giurisprudenziale andato consolidandosi negli ultimi anni, relativo alla responsabilità dello Stato-giudice derivante dall’attività di magistrati appartenenti a giurisdizioni o uffici non articolati su base distrettuale. In linea con le conclusioni della Suprema Corte maturate con riferimento ai giudici della Cassazione stessa (sentt. S.U. n. 14842/2018 e n. 13475/2019), del Consiglio di Stato (sent. n. 26072/2019) e della Sezione giurisdizionale centrale della Corte dei Conti (sent. n. 612/2022), la Corte d’Appello ha riconosciuto la pretesa di Tim come correttamente introdotta davanti al Tribunale di Roma, ritenendola dunque ammissibile sotto il profilo della competenza territoriale.
Nel merito, la Corte d’Appello ha riscontrato “la macroscopicità della violazione del diritto comunitario da parte del Consiglio di Stato che, in modo in un certo senso artificioso rispetto al chiaro dictum della Corte di Giustizia Europea, che era stata investita della questione dal Tar del Lazio, ha sostanzialmente disapplicato il diritto europeo”.
In altri termini, il recepimento della direttiva comunitaria 97/13 aveva determinato in un primo momento e per il solo 1998 l’estensione dell’applicazione del regime previgente oltre il termine ultimo di trasposizione della direttiva stessa, con conseguente obbligo da parte degli operatori di telefonia fissa e mobile al pagamento di un canone annuo di concessione commisurato al fatturato. Nonostante il contrasto di un simile recepimento con la direttiva 97/13 fosse stato segnalato nel chiarimento fornito nel 2006 dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale (sent. 21 febbraio 2008, C-296/06), né il Tar (sent. n. 11386/2008), né il Consiglio di Stato (sent. n. 7506/2009) avevano disapplicato le rilevanti norme di diritto interno e dato seguito alle richieste di restituzione avanzate da Tim.
Alla luce anche dell’ulteriore pronuncia della Corte di Giustizia del 4 marzo 2020 (C-34/19) e dell’ordinanza n. 18603/2020 della Corte di Cassazione, la Corte d’Appello ora riconosce l’illegittimità della pretesa erariale al pagamento del canone del 1998 e liquida a titolo di risarcimento un importo pari a quello all’epoca versato allo Stato, rivalutato e addizionato degli interessi maturati, per un totale pari a circa 1 miliardo di euro.