Respinto il ricorso di AGCOM contro Rete Sette S.p.A. in materia di pratiche commerciali scorrette
Pubblicato il: 5/30/2024
Nel contenzioso, Rete Sette S.p.A. è affiancata dagli avvocati Ottavio Grandinetti e Daniele Majori.
Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Lazio l’odierna appellata invocava l’annullamento ella delibera n. 128/15/CSP, adottata dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il 28/7/2015 ma comunicata al ricorrente il successivo 3 agosto 2015, recante ordinanza-ingiunzione alla società Rete 7 s.p.a. per la violazione della disposizione contenuta nell’art. 5-bis, comma 3, della delibera n. 538/01/CSP.
Il primo giudice, anche sulla scorta della sentenza del 13 settembre 2018, n. 54 (cause riunite C-54/17 e C-55/17) della Corte di Giustizia, valutava come fondato il secondo motivo del ricorso introduttivo con il quale veniva evidenziato il difetto di competenza dell’odierna appellante e, per l’effetto, annullava l’ordinanza impugnata assorbendo l’esame degli altri motivi di ricorso.
Il TAR evidenziava che la condotta sanzionata con il provvedimento impugnato consisteva nell’omissione, durante la televendita, dell’indicazione del prezzo del prodotto offerto. Tale condotta costituiva una pratica commerciale scorretta ai sensi dell’art. 22, comma 1 e comma 4, D.lgs. 206/2005
Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’AGCom, che ne lamenta l’erroneità in quanto nella pronuncia del 13 settembre 2018, n. 54 (cause riunite C-54/17 e C-55/17), la Corte di Giustizia avrebbe precisato la portata del principio di specialità di cui all’art. 3, comma 4, della direttiva n. 2005/29 in materia di Pratiche Commerciali Sleali (di seguito “Direttiva PCS”), trasposto in Italia dall'art. 19, comma 3, del Codice del consumo, con riferimento alle - sole - pratiche considerate in ogni caso aggressive e alla specifica ipotesi di possibile contrasto tra la disciplina generalista sulle pratiche commerciali sleali e la disciplina del settore delle comunicazioni elettroniche a tutela degli utenti-consumatori.
La sentenza della Corte non offrirebbe, pertanto, una risposta valida per tutti i tipi di condotte astrattamente qualificabili come pratiche commerciali sleali e per tutti i settori regolati o comunque per i settori diversi da quello delle comunicazioni elettroniche. In definitiva, la sentenza della Corte di Giustizia non affronterebbe in termini generali la questione del rapporto tra la disciplina generale delle pratiche commerciali sleali e una disciplina relativa ad un settore regolato.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.