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Rigettato l'appello di Poste Italiane S.p.A. contro AGCM


Pubblicato il: 11/21/2024

Nel contenzioso, Poste Italiane S.p.A. è affiancata dagli avvocati Damiano Lipani, Francesca Sbrana, Giovanni Crisostomo Sciacca e Andrea Sandulli.

Poste Italiane ha avanzato ricorso per la riforma della sentenza del Tar Lazio n. 03866/2022.

Oggetto del presente giudizio è il provvedimento n. 32640 del 12 giugno 2013 con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito anche “AGCM” o “Autorità”) ha accertato, ai sensi degli artt. 20 e 22, comma 1, del Codice del consumo, la scorrettezza di una pratica commerciale posta in essere da Poste Italiane s.p.a. (di seguito anche “Poste”), irrogandole, per l'effetto, la sanzione amministrativa pecuniaria pari a € 250.000,00 e vietandone l'ulteriore diffusione o la continuazione.

Il procedimento ha riguardato il comportamento posto in essere da Poste, da dicembre 2011 a marzo 2012, nel corso della campagna pubblicitaria per la promozione denominata “PROMO 4%”, che prevedeva la possibilità di ottenere, a determinate condizioni, il tasso di remunerazione del 4% sulle somme depositate sulle varie tipologie di conti correnti offerti da Poste.

Il Tar Lazio ha ritenuto infondato il secondo motivo di doglianza, con cui la ricorrente ha censurato la valutazione di scorrettezza della pratica commerciale posta in essere dall’Autorità. Il primo giudice ha sul punto ritenuto che: il messaggio pubblicitario non riportava una serie di condizioni della promozione reclamizzata “la cui conoscibilità poteva avvenire solo in un momento successivo (e neppure appieno anche in tale seconda fase), mentre per pacifica giurisprudenza il principio di chiarezza e completezza nelle comunicazioni pubblicitarie si impone fin dal primo contatto o ‘aggancio’ con il consumatore che deve essere posto nelle condizioni di poter valutare l'offerta economica nei suoi elementi essenziali al fine di percepirne con chiarezza la portata e poter conseguentemente operare una consapevole scelta economica”; anche dalla lettura delle specifiche condizioni “non [era] agevole, per un consumatore medio, non dotato di competenze finanziarie, comprendere, ex ante, le condizioni alle quali era subordinata la corresponsione del tasso”.

Il Tar ha dichiarato inammissibili, in quanto ritenute integranti motivi nuovi tardivamente proposti, le censure avanzate da Poste con le memorie di replica con le quali si è dedotto: a) il difetto di istruttoria perché il provvedimento non ha esaminato, con riferimento alla prima condotta, tutte le forme di pubblicità utilizzate da Poste, ulteriori rispetto a quella di cui alla figura 1 del provvedimento impugnato, nonché alla mancata valutazione dei limiti di spazio e di tempo connessi alle modalità di comunicazione utilizzate e b) la carenza motivazionale dell’atto impugnato per non aver individuato la nozione di consumatore medio alla quale si doveva fare riferimento per valutare l’effettiva ingannevolezza dei messaggi pubblicitari.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna l’appellante al pagamento, a favore dell’Autorità appellata, delle spese di lite del presente grado di giudizio quantificate in euro 5.000,00 (cinquemila), oltre accessori di legge.