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Cecop Italia vince in secondo grado: confermata la corretta deduzione fiscale dei premi fedeltà


Pubblicato il: 12/15/2024

La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro Cecop Italia S.r.l., confermando integralmente la sentenza di primo grado che aveva già riconosciuto la piena legittimità della deduzione dei costi legati al programma “Formula Remunerata Cecop” (FRC), attivo nel 2016.

Cecop è asssitita dalla commercialista Mara Pilla di Vicenza.

Il contenzioso

 

L’Agenzia delle Entrate contestava a Cecop la deduzione, nell’anno 2016, di circa 360.000 euro relativi ai premi fedeltà destinati agli ottici affiliati, ritenendo che i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità richiesti dall’art. 109, comma 1, del TUIR non fossero soddisfatti al termine dell’esercizio. Di conseguenza, aveva emesso avvisi di accertamento IRES e IRAP con recupero a tassazione dei costi e irrogazione di sanzioni per dichiarazione infedele.

 

La società, difesa dall’avv. Mara Pilla, ha sempre sostenuto la corretta imputazione per competenza di tali componenti negativi, dimostrando la sussistenza di precisi contratti di affiliazione con i negozi aderenti, nei quali erano predeterminati sia i criteri che le modalità di calcolo dei premi. Tali premi, infatti, erano maturati per acquisti effettuati entro il 31 dicembre 2016 e liquidati nel primo semestre 2017.

 

Le motivazioni della sentenza

 

La Corte, presieduta dal dott. Antonio Candido, ha respinto integralmente l’appello dell’Agenzia, ritenendo infondati i rilievi sulla violazione dei principi di competenza e sulla mancanza di certezza/oggettiva determinabilità del costo.

 

In particolare, i giudici hanno chiarito che:

 

  • il diritto dei negozi affiliati a ricevere il premio sorgeva già al termine dell’anno solare 2016, in forza di contratti validi e puntualmente eseguiti;
  • la quantificazione dei premi era oggettivamente determinabile, grazie a tabulati di fatturato e parametri contrattuali chiari;
  • l’imputazione per competenza era corretta, a prescindere dal fatto che il pagamento avvenisse l’anno successivo;
  • eventuali differenze tra quanto accantonato e quanto effettivamente pagato sono state correttamente trattate come sopravvenienze attive nell’esercizio 2017.

 

La Corte ha inoltre evidenziato che una diversa qualificazione contabile della posta – ad esempio, registrandola come “fatture da ricevere” – non avrebbe comunque alterato il risultato d’esercizio, né avrebbe giustificato il disconoscimento del costo da parte del Fisco.

 

Riconosciuta anche la correttezza del procedimento

 

La sentenza ha anche respinto le doglianze procedurali dell’Agenzia, confermando la validità della delega di firma al funzionario sottoscrittore dell’atto e la piena legittimità della sentenza di primo grado, che aveva accolto nel merito il ricorso della società.

 

Spese di lite a carico dell’Agenzia

 

La Corte ha condannato l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese processuali per entrambi i gradi di giudizio, liquidando ulteriori 5.000 euro a favore della contribuente, oltre accessori di legge.

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