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Il Consiglio di Stato respinge l’azione di MEC sul progetto Orte-Mestre


Pubblicato il: 9/23/2025

Gli avvocati Alberto Bianchi, Benedetto Giovanni Carbone, Giuseppe Giuffrè e Antonio Lirosi hanno assistito Management Engineering Consulting S.p.A. e Infrastrutture Lavori Italia Autostrade S.r.l.; gli avvocati Ivana Rosa Di Chio, Maria Pacifico e Nicoletta Malaspina hanno rappresentato Anas S.p.A.

Il contenzioso che ha visto coinvolti Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Ministero della Cultura, Presidenza del Consiglio dei Ministri (in due sue articolazioni) contro Management Engineering Consulting S.p.A. (MEC), I.L.I. Autostrade S.r.l. e Anas S.p.A. ha avuto il suo epilogo presso il Consiglio di Stato (Sezione Quinta) con la sentenza n. 7369/2025 (ricorso n. 9696/2024), pubblicata il 18 settembre 2025.

Il procedimento si riferisce alla nota vicenda relativa al project financing per la realizzazione e gestione dell’infrastruttura stradale Orte-Mestre.

L’origine della controversia risale alla proposta, avanzata già nel 2003, per la realizzazione del collegamento autostradale “Corridoio dorsale Civitavecchia-Orte-Mestre”, un’opera infrastrutturale complessa di circa 396 km.

Nonostante il dichiarato interesse pubblico da parte di ANAS e una lunga istruttoria che ha incluso valutazioni ambientali e urbanistiche, il procedimento è rimasto bloccato a seguito di molteplici rilievi critici sollevati dagli organi di controllo – in particolare la Corte dei Conti e il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici – circa la sostenibilità finanziaria e trasportistica dell’opera.

La vicenda processuale ha attraversato numerosi passaggi: dapprima, la proposta di project financing fu oggetto di delibere CIPE che, tuttavia, non venivano registrate e venivano successivamente ritirate in ragione dei rilievi formulati. Seguiva nel 2016 il parere negativo formale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, ritenuto vincolante per l’iter amministrativo.

MEC proponeva quindi azione risarcitoria, e successivamente, nel 2024, ricorreva al TAR Lazio deducendo il silenzio-inadempimento delle amministrazioni coinvolte. Nel giudizio di primo grado, il TAR Lazio (sentenza n. 21502/2024) aveva accolto il ricorso di MEC ordinando al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di pronunciarsi sulla proposta presentata e sulla relativa diffida, imponendo un termine perentorio all’Amministrazione.

Tuttavia, il Consiglio di Stato, chiamato a riesaminare la decisione su appello delle amministrazioni, ha affrontato in modo dettagliato la vicenda, evidenziando che il procedimento si era già concluso con atti formali ostativi e che mancava il presupposto fondamentale per l’azione avverso il silenzio: l’inerzia amministrativa. I giudici hanno osservato che la sequenza degli atti amministrativi notificati al promotore, unitamente all’insuperabilità degli arresti procedimentali (pareri negativi, analisi di fattibilità sfavorevoli), escludeva che potesse sussistere un obbligo residuo di provvedere da parte dell’Amministrazione.

L’inerzia, da un punto di vista giuridico, sussiste solo allorché l’amministrazione non concluda il procedimento entro i termini di legge senza adottare atti sostanziali, o si limiti a rinvii ingiustificati; nella fattispecie, invece, vi erano stati formali provvedimenti di arresto del procedimento. La decisione di Palazzo Spada ha quindi accolto il ricorso in appello delle amministrazioni statali, riformando in toto la pronuncia del TAR: il ricorso di MEC è stato respinto e le spese compensate in ragione della particolare complessità e durata ultradecennale del procedimento.

L’esito del giudizio conferma la legittimità dell’operato amministrativo e sancisce la definitività degli atti endoprocedimentali ostativi predisposti negli anni su un progetto infrastrutturale di strategica importanza, ma di dubbia sostenibilità tecnica e finanziaria secondo le autorità coinvolte.