Notizie

MF - I ranking di Class Editori | Best of

Quando lo scarico non è un’emissione: il Tribunale di Gorizia assolve l’imputato e segna un punto fermo nel diritto penale ambientale


Pubblicato il: 11/28/2025

Un superamento di valori limite rilevato durante un controllo ambientale, la presunta violazione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale e l’ombra di un reato contestato sulla base di un’interpretazione estensiva della normativa.

È da questo intreccio che nasce il procedimento a carico di Giuliano Sponton, responsabile dell’impianto di compostaggio gestito da Isontina Ambiente, e da cui prende forma una sentenza destinata a diventare un riferimento nel delicato confine tra disciplina amministrativa e responsabilità penale. Il Tribunale di Gorizia, con decisione pronunciata dalla giudice Sara Frattolin, ha assolto l’imputato con formula piena, ritenendo che il fatto non sia previsto dalla legge come reato. Una conclusione che valorizza la linea difensiva dell’avvocato Giovanni Borgna del Foro di Trieste, chiamato a smontare un’impostazione accusatoria costruita sul terreno scivoloso dell’interpretazione analogica in materia penale.

La vicenda prende avvio dall’autocontrollo eseguito nel dicembre 2020 sullo scarico S5 dell’impianto, un monitoraggio che aveva registrato lo sforamento di alcuni parametri chimici. Sulla base di quel dato, l’accusa ha ritenuto configurabile il reato previsto dall’articolo 29-quaterdecies del Codice dell’Ambiente, norma che punisce le irregolarità nelle emissioni degli impianti industriali. Nella ricostruzione accusatoria, lo scarico idrico sarebbe rientrato nella categoria delle emissioni, secondo un’interpretazione che in passato aveva trovato sponda in due pronunce della Cassazione tese ad ampliare il concetto di “emissione” fino a comprendere anche gli scarichi nel suolo.

Il processo, articolatosi attraverso l’esame di tecnici, responsabili d’impianto, chimici e consulenti, ha però offerto un quadro radicalmente diverso. È emerso che lo scarico S5 non ha nulla a che fare con l’immissione in atmosfera di sostanze inquinanti, ma riguarda un sistema idrico di raccolta e trattamento delle acque reflue, complesso ma ben definito, la cui disciplina appartiene a un diverso segmento del Codice dell’Ambiente. Le condizioni meteorologiche eccezionali di quel periodo – caratterizzato da un’assenza prolungata di piogge – avevano inoltre alterato il regolare funzionamento del processo biologico, rendendo più difficile la piena efficacia della depurazione e contribuendo al superamento dei valori.

Nella motivazione, il Tribunale compie una lunga e accurata ricognizione del quadro normativo, osservando come il legislatore abbia scelto di trattare in modo distinto tre matrici ambientali – aria, acqua, suolo – affidando a ciascuna una disciplina specifica e non sovrapponibile. La parte quinta del d.lgs. 152/2006 riguarda infatti esclusivamente le emissioni in atmosfera, mentre gli scarichi idrici sono regolati dalla parte terza, che contiene parametri, criteri autorizzativi e un apparato sanzionatorio autonomo. Questo assetto sistematico, secondo il giudice, esclude che la disposizione sulle emissioni possa essere estesa automaticamente agli scarichi idrici, pena la violazione del principio di legalità e la creazione di una duplicazione sanzionatoria mai prevista dal legislatore.

La sentenza prende così le distanze dall’orientamento più estensivo adottato in alcune pronunce della Cassazione, ricostruendo con rigore la portata reale delle definizioni. Il concetto di “emissione”, che sembra abbracciare qualsiasi immissione nell’ambiente, non può essere isolato dal contesto in cui è collocato e soprattutto non può essere utilizzato per ricondurre a reato superamenti che riguardano sostanze non comprese nelle tabelle penalmente rilevanti. Nel caso concreto, le sostanze contestate non rientrano nelle tabelle 5 e 5/A dell’allegato 5, un elemento che assume un peso decisivo: la legge, osserva la giudice, punisce penalmente solo lo sforamento di quelle specifiche categorie di composti, mentre eventuali irregolarità relative ad altri parametri possono essere sanzionate soltanto sul piano amministrativo, come previsto dall’articolo 133 dello stesso decreto legislativo.

Per l’imputato, il verdetto è liberatorio: nessun reato, perché la condotta contestata non rientra nella fattispecie penale richiamata dall’accusa. Per il mondo degli operatori industriali e delle autorità ambientali, la decisione rappresenta invece un punto fermo, capace di riportare chiarezza in un settore dove l’intreccio tra regole amministrative e norme penali rischia spesso di generare sovrapposizioni e incertezze. E per la difesa, guidata dall’avv. Giovanni Borgna, è la conferma della solidità di un’impostazione che ha saputo riportare il giudizio sul terreno della legalità formale, evitando che un’irregolarità tecnica, peraltro marginale e legata a condizioni straordinarie, venisse trasformata in una responsabilità penale ingiustificata.

 

La sentenza del Tribunale di Gorizia entra così nel novero delle decisioni che, pur muovendo da una vicenda locale e specifica, hanno la forza di incidere sul modo in cui il diritto penale ambientale continua a definirsi. Un precedente importante, che riafferma un principio semplice ma imprescindibile: nel campo del penale, le parole del legislatore contano più delle suggestioni interpretative. E non ogni sforamento è un reato.

Studi Coinvolti